domenica 10 febbraio 2013

La vita, l'universo e tutto quanto


Nell'immaginario collettivo, è ormai radicata l'idea che l'effetto serra, l'aumento di anidride carbonica nell'atmosfera e l'innalzamento della temperatura terreste siano direttamente collegati all'attività di una sola specie sulla Terra, quella dell'Homo sapiens. Da questa ipotesi scientifica, che questo testo non ha né le facoltà né le intenzioni di confutare, derivano una serie di ricadute collettive ed individuali che condizionano fortemente la percezione delle nostre azioni: queste, infatti, potrebbero compromettere irrimediabilmente la Vita e la Natura. Parafrasando le parole dello zio Ben, da questo potenziale distruttivo è chiaro che derivino grandissime responsabilità.
Al contrario, l'impronta religiosa sulla civiltà umana, quale che sia la religione (e con i relativi distinguo), tende generalmente ad identificare l'uomo come un elemento minore in un contesto più grande, generato da Qualcos'altro (per una revisione su questo punto, si veda "God is not Great"). Nelle grandi religioni monoteistiche, questa caratteristica è sublimata nella preghiera all'Onnipotente, in aperto contrasto con la visione di un uomo dominante conseguente all'approccio para-scientifico accennato sopra.

A dispetto dell'apparente incompatibilità, queste due diffusissime visioni condividono un punto in comune: in entrambe, l'indole e la volontà umana sono profondamente castrate.

In alcuni Musei della Scienza nel mondo si possono trovare degli orologi che, in base alle informazioni che abbiamo oggi a disposizione, segnano il tempo dalla nascita della Terra fino ad oggi, con riferimento agli eventi che vi si devono essere succeduti (un esempio parziale lo si trova su qui). Salta all'occhio quanto l'arrivo dell'H. sapiens (mezzo milione di anni fa, considerando la forma più arcaica) occupi una frazione di secondi su questo orologio, mentre quella di animali preistorici del tutto estinti è molto più ampia (130-160 milioni di anni per i dinosauri), per non parlare del tempo necessario a generare le prime forme di vita.
Ma che cos'è la Vita? Cos'è che possiamo indicare chiaramente come Natura? Cosa esattamente dovrebbe rovinare l'attività di questo essere arrivato per ultimo alla festa sul pianeta Terra? Lasciando da parte la definizione di essere vivente e di nascita esatta della vita, un'ipotesi condivisa sul meccanismo alla base di Natura e Vita è quello DNA-RNA-proteina, essendo (brevemente) il DNA la molecola responsabile di contenere le informazioni, la proteina la molecola capace di condurre delle attività, e l'RNA una via di mezzo. E' affascinante constatare che RNA e proteine, generate a partire dal DNA, riescano a regolare l'espressione del DNA stesso, chiudendo così un piccolo ciclo (ed un piccolo mistero) dell'Esistenza.
L'idea della ciclicità della materia (vedi il principio di Lavoiser), dello spazio (vedi gli studi sulla quarta dimensione qui e qui), del tempo (vedi le ipotesi di Vico, ma anche quelle sulla quarta dimensione stessa) non è per niente nuova, eppure sembra essere del tutto dimenticata nella teoria del progresso (e della crescita) lineare dominante oggi, come anche nelle visioni religiose dove la ciclicità è spesso assente o secondaria.

Il concetto di lineare sottintende che ci siano due estremità; l'esempio più banale è il prima/dopo, essendo il dopo spesso meglio del prima (nelle religioni monoteistiche, la vita dopo la morte; nella politica, il progressismo, etc.). Ora, potrà sembrarvi assurdo, ma queste “narrazioni” oggi dominanti hanno un grande effetto sulla nostra percezione della realtà e sulle nostre intenzioni. L'elementare dualismo buono/cattivo è così ben radicato in noi stessi che difficilmente ci accorgiamo di metterlo in atto. La propaganda attuale, qui intesa come reiterazione martellante di un solo concetto a discapito di tutti gli altri, ne ha fatto uno strumento di interpretazione senza eccezioni. E può forse andar bene per le prime 3 domande che ci possiamo porre su qualsiasi cosa, ma è del tutto insufficiente e corrotto come sistema dalla quarta domanda in poi. Che ne sarebbe di ogni tipo di sfumatura, di ogni dubbio e dell'infinita varietà di grigi che passano fra il bianco ed il nero? Che ne sarebbe delle infinite potenzialità insite in ogni cosa? Libri come “L'uomo dei dadi” sarebbero assolutamente incomprensibili, per non dire eretici. Ed eretico sta diventando anche chi propone visioni alternative, mettendo in dubbio tangenzialmente certe sicure teorie consolidate. Più spesso è anzi un pazzo! Il che mi fa riecheggiare una ormai vecchia ma sempre attuale canzone: “[...] una sola potenza, un solo mercato, un solo giornale, una sola radio, e mille scheletri dentro l'armadio”.

Ma tutto questo, lo sappiamo già. Quello di cui non sempre ci accorgiamo sono le conseguenze. Il primo effetto di questo dualismo supportato da 3 consecutio logiche messe in croce è la percezione di possedere delle valide informazioni su cui basare il proprio “libero” pensiero (virgolettato, perché sarebbe comunque vincolato alle possibilità economiche, sociali ed intellettuali di ognuno di noi). Il secondo effetto è che molti dei problemi che ci poniamo (per non parlare delle conclusioni) sono, per dirla col Quelo, “mal posti”, in quanto partono da presupposti molto limitati. In particolare, è davvero molto preoccupante constatare che gli strumenti della propaganda sono usati quasi sempre anche da coloro che offrono valide argomentazioni a favore del bene comune, a sostegno della Vita o della Natura. Ad esempio, più raffinato del rozzo Uomo/Natura, c'è il contrasto Tecnologia/Natura (un esempio galattico qui), secondo cui la prima non può che nuocere alla seconda, e da cui segue che un'ipotesi di tecnologia integrata con la natura e per il bene di tutti è niente più che una bestemmia (in quanto, come già richiamato in cima, l'uomo è un distruttore). Tesla si starà certamente rigirando nella tomba! Questo approccio castrante fa di un prodotto dalle enormi potenzialità solo un'arma contro noi stessi. E' come dire che dovremmo fare un rogo con tutte le penne biro perché si possono infilare negli occhi! Peggio del peggio, a questo dualismo consegue in maniera strisciante che la soluzione più semplice e logica sia l'abbandono in toto dell'idea di tecnologia a favore di una vita agreste e bucolica, un approccio vecchio di 2000 anni inaccettabile ai più, che determina unicamente una impasse invalicabile. Le visioni apocalittiche suggerite da chi cerca di “risvegliare le coscienze” con questo razionale dualistico non fanno altro che spingere le persone alle estremità di questa linea immaginaria, nella quale non c'è spazio per il dubbio ed il controsenso e, soprattutto, non c'è spazio per il tempo necessario alla loro valutazione (in perfetta sincronia con il motivetto del “non c'è tempo” che tanto conosciamo in Italia).

Sebbene esistano molte fonti autorevoli che spiegano la propaganda attuata in politica ed in economia, è molto più difficile reperire elementi “altri” che ci aiutino ad uscire dai dualismi imposti nella percezione della Vita e della Natura, per assaporarne gli apparenti controsensi e le sfumature. A seguire ne cito alcuni, presi del tutto a caso fra quelli che più sovente mi capita di trovare.

Omeostasi/Biodiversità
La difesa della Natura dall'uomo distruttore è combattuta con il principio della conservazione. Dobbiamo fermare l'innalzamento dei livelli di anidride carbonica! Dobbiamo evitare la scomparsa delle specie in via d'estinzione! Ci sarebbe immediatamente da chiedere, qualora ne fossimo capaci, a quali livelli vorremmo far tornare questi valori, e per quanto tempo. Il principio di “conservazione della biodiversità” è, evolutivamente parlando, un assoluto controsenso, essendo la biodiversità generata appunto dal continuo cambiamento. “Panta rei”! Più propriamente, il concetto di biodiversità ed evoluzione sono intrecciati attorno a quello di sopravvivenza, l'unico modo che siamo riusciti a trovare per spiegare molte cose. Quello che intendiamo difendere in realtà è l'omeostasi (il mantenimento dello stato di equilibrio) non il principio della biodiversità. Eventualmente, quest'ultima- secondo il concetto di Uomo distruttore/modificatore della Natura- la stiamo stimolando! Nel periodo del Cambriano, una forte pressione ambientale ha portato ad un incredibile fiorire di nuove specie, tutte verosimilmente in lotta per conquistarsi una nicchia che gli garantisse la sopravvivenza. Qualcuno riesce ad immaginare che periodo straziante debba essere stato? Una valle di mostri! Al tempo stesso, come non provare amore ed ammirazione per la Natura e la Vita nel constatarne la forza inesorabile? Se credete che nessuno stia parlando dell'elefante nella stanza, ovvero della necessità che non sia l'uomo a determinare l'estinzione del Panda o la deforestazione, sebbene questo approccio trovi chiaramente concorde chiunque (ed anche me!) va prima stressato il fatto che l'uomo sia figlio della Natura e non padre. Come dev'essersi sentito il primo organismo ossigenico in un mondo anaerobico? Piuttosto solo, presumo. Ehi, questi esseri hanno cambiato l'atmosfera da allora! Chiusi nei nostri intestini privi di ossigeno ma ricchi di sostanze nutritive, destino infame, gli Archea narrano ancora le storie del tempo che fu, quando un passo alla volta a partire da loro si arrivò al primo eucariote: “Maledetta la loro stirpe!”.

La Vita a tutti i costi: Arrivano i buoni!
Un altro concetto martellante a cui siamo usi è quello della difesa della Vita a tutti i costi. E' chiaro che implicitamente intendiamo “della nostra”, ma questo sottinteso sta purtroppo al di là del pallido contesto usato dalla propaganda, e lo notiamo solo in circostanze estreme, tipo quando si dovrebbe applicare al nostro intervento diretto in favore dell'extracomunitario, del barbone o dello zingaro per strada. Rimanendo sempre attaccati alla Biologia, prendiamo un esempio estremo. E' un fatto che i tumori siano espressione di un progetto vitale, il quale purtroppo non è in accordo con quello dell'ospite in cui si trova. E' illuminante considerare a questo riguardo una frase recentemente pubblicata su Nature: “Le cellule metastatiche sono ammirevoli: tu elimini una specifica via metabolica, e loro trovano un altro modo di sopravvivere”. Di fatto, quella del tumore, per quanto sterile, è una lotta per l'esistenza. E, sebbene suoni blasfemo, in quanto tale è affascinante come molte altre. Che senso dovrebbe assumere allora il concetto di difesa della Vita quando mettiamo questa informazione nel calcolo? Ancora una volta, chiaramente, si elogia l'omeostasi del nostro mondo, dal quale si ritorna al controsenso rispetto alla biodiversità ed alla evoluzione che ci ha generato. Quello che appare più manifesto è la necessità a partire dall'individuo, nel proprio piccolo, di comprendere cosa significhi essere parte integrante della Natura che lo ha generato. Necessità che purtroppo il modello occidentale che si sta espandendo all'oriente non appaga mai, in quanto più spesso crediamo di essere figli di dio, specie più evoluta o addirittura esseri in grado di distruggere la Vita e la Natura.

Il cervello e la fotosintesi: due prodotti della Natura in grado di modificarla profondamente
Come siamo arrivati a tutto questo? Chiaramente grazie all'unico elemento che davvero ci contraddistingue: il cervello. Apparentemente, il cervello è solo uno strumento generato in centinaia di milioni di anni dalla Natura tramite il sistema di adattamento DNA-RNA-proteina, né più e né meno, ad esempio, dello zoccolo del cavallo, lo strumento migliore a garantire la corsa avendo minimizzato l'appoggio a terra ad un solo dito. E non diverso, come detto prima, dalla fotosintesi ossigenica, che ha garantito di estrarre elettroni da un composto non ridotto come l'acqua, sfruttando l'energia solare abbondante e poco sfruttata con un solo fotosistema. Benché prodotta dalla Natura, la fotosintesi ossigenica ha modificato completamente l'ambiente in cui è nata. Ed anche il cervello ha potenzialità rivoluzionarie: può permettere la presa di coscienza dell'individuo portatore (un altro ciclo che si chiude) e, nel caso più estremo (l'uomo), è capace di integrare molte informazioni, prevedendo il risultato delle azioni prima di averle compiute, al contrario di quanto accade con gli altri animali.
E' proprio questa caratteristica ad aver permesso all'uomo di poter gestire elementi del tutto naturali e poter ripetere con successo processi eccezionali nel campo della genetica, dell'aerodinamica o dell'energia atomica. Ad ogni modo, è fondamentale sottolineare che per quanto devastanti questi processi possano essere, essi vengono comunque generati a partire da elementi che fanno parte del sistema Natura. Le fantomatiche risorse fossili non sono altro che residui organici messi lì per uno spazio di tempo estremamente lungo, per cui quello che stiamo consumando non sono dei residui tossici per la Natura, ma più propriamente é il tempo. Sarà anche scontato, ma è bene ricordarselo. Al massimo, quello che può succedere è che le nostre azioni comprometteranno la Natura come noi la conosciamo (e quindi magari la nicchia che ha permesso il nostro sviluppo), ma non certo la Natura in senso assoluto!

L'unico limite del cervello, per quanto possiamo intuire fino ad ora, è che spesso ha bisogno di giustificazioni. La ragione impone dei perché, ed a questi perché delle risposte plausibili. Qual'è il senso dello sviluppo del cervello considerando ciò che può fare? Come dovremmo utilizzarlo noialtri animali? E' meglio un maiale felice o un Socrate infelice? Dovremmo usare biecamente il nostro intelletto e fare un salto evolutivo verso chissà dove, a dispetto delle modifiche che imporremo sull'ambiente o sforzarci al massimo per immobilizzare la Natura nello stato attuale? E sarebbe possibile? Qual'è la risposta alla domanda fondamentale sulla Vita, l'Universo e tutto quanto? Per quanto ne sappiamo, a quest'ultima domanda la risposta è 42. Mentre alla domanda “Come fare per sentirci strumento della Natura e permettere il benessere di molti (anche se non tutti)?” ancora non abbiamo risposta. Non che sia il primo a porsi questa domanda. In qualche modo, Rodney King l'aveva già posta a tutti noi già molto tempo fa ("Can we all get along?", tradotto: "Possiamo andare d'accordo?").

Non appena focalizzo la mia attenzione su questa domanda, subito mi chiedo: ma, abbiamo il tempo? Beh, considerando che non abbiamo altre alternative, probabilmente sì...

lunedì 5 marzo 2012

Rinunciare a pensare

Qualunque sia il ritmo della nostra vita, quale che sia la destinazione, noi italiani affrontiamo la vita correndo. Molti di noi scappano dal presente ogni giorno. Questa spinta verso il domani non è dovuta solo ad una odiosa quotidianità da cui fuggire. Più in generale, il berlusconismo culturale ha consacrato la scomparsa del senso del tempo: del passato non c'è più memoria. Cose gravissime, successe solo poco tempo fa, non esistono più, non ce le ricordiamo neanche. Che dire di Mariarca Terracino? Chi di noi conosce davvero la sua storia?
E questo proprio quando il futuro sembra non arrivare mai (e ad oggi, forse neanche lo vorremmo): il presente sembra l'unico tempo possibile nel quale vivere. Una prigione della mente.
Questo approccio frettoloso alla percezione di noi stessi ed alla realtà è forse il promotore di un fattore davvero dilagante. Nei siti di contro-informazione, nei giornali portatori (a loro dire) di vere verità, nei discorsi di certi amici, si fa frequente, troppo frequente, un personaggio forse senza tempo. Quello che ha rinunciato a pensare.

Di fronte ad argomentazioni nuove per lui, che non si incastrano in nessuno degli schemi a lui familiari, tradisce al mondo la sua rinuncia con la frase: "Se alla fine di questo articolo questo giornalista non ci dice cosa fare, allora che stia zitto".
Ma non facciamo delle stupide categorie: tutti noi siamo diventati un po' questo personaggio. Quante volte ci siamo sentiti persi davanti alle argomentazioni drammatiche di certa gente dei media più o meno convenzionali? Quante volte lo abbiamo pensato di qualche amico "rompicoglioni"? "Per favore, non rompeteci le scatole suggerendo delle alternative, non teneteci sulle spine con i particolari: dateci la vostra versione". Questo approccio purtroppo lascia spazio solo ad una conclusione: mi piace/non mi piace.

Sappiamo tutti che, nella nostra società in crisi, i ruoli non esistono più: il vostro superiore è spesso esclusivamente uno più vecchio di voi che guadagna di più, al pari (se non in deficit) di competenze. Nel peggiore dei casi è un believer, un triste ipocrita che ci crede. Non dovrebbe stupire dunque che il giornalista, che dovrebbe solo dare le informazioni, sia diventato per alcuni un maitre à penser. E come si dice, i media sono i cani da guardia del potere: dunque, almeno fare un collage delle informazioni filtrate, manipolate in alcuni aggettivi cruciali, ci permetterebbe di usare l'intelletto, e creare una nostra versione. Non fosse altro perchè la capacità di intrepretare qualitativamente la realtà è data dal mettere in relazione i diversi fattori, più che dal mandare giù a memoria nozioni, tesi o teorie.

Eppure questa è una attività che non possiamo demandare: non si può fare di questo una professione! Rintanarsi nella mancanza di tempo è sufficientemente consolante. Dobbiamo arrivare, scappare, sopravvivere. Ah, se si potesse fare una banca dove risparmiare il tempo perduto! Le volte in cui ne avessimo bisogno, lo si potrebbe ritirare allo sportello, e pensare un po' a noi.

sabato 1 ottobre 2011

Il buco della serratura

Negli ultimi mesi i media non riescono a fare a meno di parlare dei presunti scandali sessuali di Berlusconi. Un punto di vista trasverale.

Carrellata delle homepages online ad oggi, sabato 1 Ottobre 2011, ore 11:00:
Il Fatto Quotidiano (che usa titoli da Novella2000); il Corriere della Sera; La Repubblica; La Stampa; Il Mattino; La Nazione (a.k.a. Il Giorno, a.k.a. Il Resto del Carlino), L'Unità (recentemente nota anche per la satira sulla Merkel, sempre riguardante aspetti sessuali), Ansa.

Si salvano Il Secolo XIX (che mette comunque sulla home una notizia davvero bollente: il caldo a Settembre) ed Il Manifesto.

E non me la cantano con la storia della ricattabilità di un Primo Ministro: stiamo parlando dello stesso soggetto indagato come mandante occulto delle stragi di Falcone e Borsellino, autore di innumerevoli leggi ad personam, ad personas, contra personam etc. etc. che con gli anni hanno manifestato la loro devastante virulenza; in un momento storico di recessione economica paragonabile a quella del '29. Amico di gente come Putin o di Gheddafi (prima di fagli la guerra, ovviamente). Proprio per parlare a braccio.

E questo mentre si è appena rifatto (Settembre 2011) un referendum contro il porcellum (sottoscritto allora largamente dagli attuali proponenti del referendum) che è copia carbone del Primo v-day (Settembre 2007!).

E' vero che il nuovo non nasce se il vecchio non muore. Ma se queste sono le ragioni del nuovo allora, mi mordo la lingua, meglio il vecchio.

martedì 13 settembre 2011

La scomparsa dei fatti: un caso modello

Beppe Grillo a molte persone non piace. Alcuni argomenti che circolano in rete, su molti versanti, mi trovano anche d'accordo. In questo caso, però, documentare l'assenza di informazione è molto più interessante che stare a discutere su chi ha fatto cosa.

Sabato scorso, 10 settembre, Grillo insieme a migliaia di persone hanno consegnato qualche chilo di cozze davanti al Parlamento a simboleggiare i politici attaccati ai loro privilegi. Su ogni cozza c'era il nome di un parlamentare.
L'evento è stato organizzato per ricordare che 4 anni fa 350mila persone firmarono (in occasione del primo V-day) per:
1- mandare a casa i politici condannati con sentenza definitiva;
2- ridurre a 2 mandati (10 anni) la carriera di un politico;
3- esprimere preferenza diretta del candidato alle elezioni. Su quest'ultimo punto, PD, IDV e Sel stanno recentemente chiedendo ai cittadini di firmare (un'altra volta).

Il COZZA DAY, per ben 24 su 27 testate giornalistiche online, non è mai esistito.
Giornali come il Manifesto, l'Unità, il Corriere ed addirittura l'Ansa hanno omesso che migliaia di persone stavano scaricando davanti al Parlamento sacchi di cozze.
L'evento è stato invece ripreso in diversi altri paesi, fra cui Austria, Brasile, USA, Paesi Bassi, Francia e Spagna (1, 2 e 3).

sabato 3 settembre 2011

L'armonia del mondo

L'esempio più conosciuto di scienziato che ha svelato come i diversi fili che legano la realtà fanno parte di un unico tessuto che la rappresenta per intero è Albert Einstein. La quasi totalità della sua opera consiste nell'aver trovato le relazioni esistenti fra fenomeni considerati indipendenti, fino a spendere (purtroppo invano) gli ultimi 30 anni della sua vita a cercare di dimostrare quella che lui chiamava la teoria del campo unificato. Ben prima di lui, però, la connessione fra il particolare e l'universale era stata intrapresa, con alterne fortune, da plotoni di filosofi greci (e probabilmente da molti altri ancora).
In questo passo tratto da Le Menzogne di Ulisse (di Piergiorgio Odifreddi, TEA, 2006) le relazioni fra musica e matematica proposte da Pitagora vengono splendidamente illustrate, giustificando appieno il titolo del capitolo da cui sono riprese, L'armonia del mondo.
“[...] Pitagora stava passeggiando per la città quando, udendo i suoni che venivano dalla bottega di un fabbro, si accorse che alcuni erano consonanti, cioè si accordavano bene insieme, e altri erano invece dissonanti, cioè non andavano d'accordo fra loro. La cosa era probabilmente già stata notata dall'orecchio rude dei lavoratori che battevano i martelli sulle incudini, ma non ancora dall'orecchio delicato di un filosofo, con tempo e voglia a disposizione per vederci chiaro.
Entrato nella bottega, Pitagora scoprì che i suoni diversi che andavano fra loro più d'accordo di tutti erano quelli prodotti da martelli che pesavano l'uno il doppio dell'altro, cioè con un rapporto fra i pesi di 2 a 1: in tal caso le note prodotte erano infatti le stesse, benché alla distanza di un'ottava (come fra un do e il do successivo). La cosa però non finiva qui. Anche se i martelli pesavano l'uno una volta e mezzo dell'altro, cioè se il rapporto dei pesi era di 3 a 2, i suoni erano consonanti, benché un po' meno di prima: questa volta le due note non erano più la stessa, ma differivano di una quinta (come un do e il sol successivo, o un fa e un do). E anche se il rapporto fra i pesi dei martelli era di 4 a 3, i suoni erano consonanti, benché ancora un po' meno di prima: essi differivano infatti per una quarta (come un do e il fa successivo, o un sol e un do).
Tornato a casa, Pitagora provò a vedere che cosa succedeva per i suoni prodotti non da uno strumento a percussione, come le incudini, ma da uno a corda, come la lira. E si accorse che le lunghezze delle corde si comportavano in maniera analoga ai pesi dei martelli: un rapporto di 2 a 1 produceva suoni differenti di un'ottava, un rapporto di 3 a 2 suoni differenti di una quinta, e un rapporto di 4 a 3 suoni differenti di una quarta.
A questo punto, poiché la cosa non poteva essere una combinazione, Pitagora capì di aver scoperto un misterioso legame tra fisica, musica e matematica: il fatto, cioè, che a rapporti fra grandezze fisiche come pesi e lunghezze, misurabili con rapporti matematici fra numeri interi, corrispondono rapporti armonici fra note musicali. In altre parole, la matematica funge da intermediaria in un rapporto amoroso tra la fisica e la musica, e più in generale fra la natura e l'uomo.
Quest'opera di intermediazione Pitagora la espresse nel credo che “tutto è numero razionale”: nella fede, cioè, che tutti i rapporti scientifici e artistici siano misurabili attraverso rapporti matematici. Sottintendendo poi il riferimento ai numeri, il credo diventava ancora più generale, riducendosi a “tutto è razionale”: esso esprimeva, questa volta, la fede che ciò che chiamiamo cosmo o mondo, lungi dall'essere sistema caotico e inconoscibile, sia invece un “ordine pulito”, come nei significati originari di kòsmos e mundum, e si possa dunque comprendere mediante la misura e la ragione. E se, in un caso come nell'altro, la cosa suona familiare, è perché lo è: si tratta nella fede e del credo sui quali ancora oggi si basa la scienza.
[…] Pitagora, parlando greco, chiamava lògos il rapporto […] (il libro tratta della storia della logica, ndJ). Poiché il lògos, nella sua triplice coincidenza di matematica, musica e natura, si era manifestato attraverso i numeri 1, 2, 3 e 4, Pitagora si lanciò immediatamente in una serie di speculazioni su di essi. Aritmeticamente, i quattro numeri sommavano a 10. Geometricamente, essi formavano una tetrachtýs, un “quartetto”, che si poteva disporre nella forma di un triangolo equilatero di lato quattro:
Sia il 10 che il tetrachtýs acquistarono dunque un sapore magico per la confraternita dei pitagorici, che il maestro dirigeva come un profeta o un semidio [...]. (Le dottrine del maestro, ndJ) riguardavano la struttura matematica della musica e del cosmo, e oggi ne conosciamo i princìpi attraverso la divulgazione fattane nel Timeo da Platone, che ci ha probabilmente anche aggiunto del suo.
L'idea, più o meno, era la seguente. Anzitutto, il mondo non è stato creato, ma solo ordinato da un Demiurgo. Egli è partito dalla logica, notando che di ogni cosa si possono dire tre cose: che esiste, che è uguale a se stessa, e che è diversa da tutto il resto. Ha poi mescolato i tre ingredienti astratti dell'esistenza, dell'uguaglianza e della disuguaglianza ai quattro elementi concreti: cioè terra, acqua, aria e fuoco, che oggi associamo rispettivamente agli stati solido, liquido e gassoso della materia, e all'energia (che sarebbe il fuoco, ndJ) che permette di trasmutare uno nell'altro (ad esempio, il ghiaccio in acqua, e l'acqua in vapore).
Per plasmare il materiale grezzo così ottenuto, il Demiurgo è poi passato alla musica: si trattava infatti di creare l'ordine attraverso l'armonia. Di mousiké, “arte protetta dalle Muse”, secondo Pitagora ce n'erano infatti tre tipi: quella strumentale propriamente detta, quella umana suonata dell'organismo, e quella mondana suonata dal cosmo. E la loro sostanziale coincidenza era responsabile, da un lato, dell'effetto emotivo prodotto, per letterale risonanza, dalla melodia sull'uomo; e, dall'altro lato, della possibilità di dedurre leggi matematiche dell'universo da quelle musicali.
Per trovare le leggi matematiche della musica, Pitagora notò anzitutto che la divisione musicale dell'ottava di una quarta (do-fa) e una quinta (fa-do), oppure in una quinta (do-sol) e una quarta (sol-do), corrisponde al fatto matematico che 2 è uguale al prodotto di 4/3 per 3/2, o viceversa (vedi i rapporti espressi prima, ndJ): sommare o sottrarre intervalli musicali corrisponde a moltiplicare o dividere i loro rapporti. E poiché la quarta si ottiene sottraendo una quinta da un'ottava, basta “scendere e salir per l'altrui scale” (citazione del canto 17esimo del Paradiso di Dante, ndJ) a passi di quinte e ottave, per generare rapporti corrispondenti a tutte le note: ad esempio, quello corrispondente a un tono si ottiene salendo di due quinte (9/4) e scendendo di un'ottava (1/2), e corrisponde a 9/8.
Per trovare le leggi matematiche dell'universo “basta” a questo punto credere, o fingere di credere, che esso sia una lira suonata da Apollo. D'altronde, lasciando da parte la Terra e le Stelle Fisse, i rimanenti pianeti conosciuti allora erano giusto sette: tanti, cioè, quante le note della scala musicale. Il loro ordine apparente, ossia quello nel quale essi appaiono a un osservatore terrestre, è:
Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno.
Procedendo per quinte, seconda la teoria pitagorica, essi vengono ridisposti nell'ordine:
Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno, Sole
che è quello che ancora oggi usiamo per la successione dei giorni della settimana.
[…] Le idee pitagoriche si mantennero vive nei secoli […] nella cosmologia [...] almeno fino a Keplero e Newton. Il primo scrisse addirittura, nel 1619, un intero libro intitolato appunto L'armonia del mondo, nel quale rivisitò le leggi musicali dell'universo alla luce delle più recenti osservazioni astronomiche, e precisò che nella sinfonia celeste Mercurio canta da soprano, Marte da tenore, Saturno e Giove da bassi, e la Terra e Venere da alti. E nella terza delle famose tre leggi sul moto dei pianeti, ricompare miracolosamente il rapporto di quinta: perché il quadrato del periodo di rivoluzione di un pianeta attorno al Sole è proporzionale al cubo della sua distanza media da esso.
[…] Quanto a Newton, egli stesso considerò la sua scoperta più fondamentale, quella della legge di gravitazione universale, come una mera esplicitazione di ciò che era già implicito nelle leggi dell'armonia pitagorica. E […] sostenne, addirittura, che essa doveva già essere nota a Pitagora.
[…]
Dispiacque invece a Pitagora, naturalmente, una scoperta che mise in crisi tutto l'edificio che egli aveva costruito. Perché poco dopo aver promulgato il dogma della razionalità universale, egli si trovò di fronte a un duplice scisma provocato da due eresie: una, geometrica, relativa alla diagonale del quadrato; l'altra, musicale, relativa al semitono. […] entrambi i problemi […] si risolvono con radici di 2 […] che non è esprimibile mediante numeri razionali: ovvero, che è “irrazionale”, nel senso sia letterale che metaforico. […] Pitagora deve aver vissuto come un vero e proprio scacco il fatto che il fallimento del suo programma di riduzione aritmetica derivasse proprio dalla geometria. Dalla disciplina, cioè, nella quale aveva fatto i suoi studi […] e nella quale è ancor oggi legato al più famoso teorema […].
Ma lo scacco fu doppio perché […] la radice di 2 si intrufolò anche nella teoria musicale pitagorica. Volendo infatti dividere il tono pitagorico in due semitoni, bisogna estrarre la radice quadrata di 9/8, il che introduce appunto una radice di 2 a denominatore. Calcolando invece (per quinte) l'intervallo fra il mi e il fa, oppure fra il si e il do, che dovrebbe appunto corrispondere a un semitono, si ottiene una frazione (256/243) che è leggermente diversa. La differenza fra un tono e due “semitoni” si chiama comma pitagorico, ed è purtroppo percepibile da un orecchio sensibile.
Da qui derivano enormi problemi musicali. Ad esempio, per chi ha orecchi per intendere, il ciclo delle quinte (fa-do-sol-re-la-mi-si) non si chiude, e continua all'infinito a spirale: salendo con i diesis, e scendendo con i bemolle. Ciò significa che, anche volendo soltanto considerare note con un unico diesis o bemolle, bisognerebbe costruire pianoforti con 21 tasti per ciascuna ottava, invece che con 12, con tutti i problemi che questo comporterebbe all'esecutore.
La soluzione fu trovata da Aristosseno di Taranto nel quarto secolo prima dell'era Volgare (non ho idea a cosa si riferisca, ndJ) e ritrovata da Vincenzo Galilei nel 1581, ma non fu adottata che nel Settecento, dopo essere stata propagandata da Johann Sebastian Bach nel Clavicembalo ben temperato. Si tratta, sostanzialmente, di distribuire il comma pitagorico in modo da renderlo innocuo, accordando il pianoforte in maniera equabile: in modo, cioè, che tutti i semitoni siano esattamente uguali. Alla fine tutte le note risultano stonate, “in qualche parte più che altrove”, ma di quantità impercettibile se non a orecchi sensibilissimi.

giovedì 16 giugno 2011

Come ci stanno mangiando la rivolta

Da qualche tempo, il deodorante con cui la "destra" allo sfascio ha coperto il puzzo di putrefazione del suo modus operandi ha perso il suo effetto. Il puzzo persiste anche diverso tempo dopo essere entrati nella stanza. A testimoniarlo, in ordine di tempo, le recenti amministrative comunali ed il successo del referendum su acqua, nucleare e legittimo impedimento.

Su questi due eventi, è bene però fare delle precisazioni.

Per quel che riguarda le amministrative comunali, il vero successo non è stato quello dei ballottaggi (eccetto forse De Magistris, inviso a tutti e trionfante con percentuali bulgare), ma quello del primo turno, dove il cosidetto Terzo Polo (il doggy-bag della politica 2011) è andato sotto, spesso e volentieri, con il Movimento 5 Stelle che ha dimostrato che si può fare politica senza soldi (questo sì che è pericoloso!).

Ancora più eclatante il referendum: il PD ha fatto di tutto per segarlo, salvo poi saltare sopra il carro dei vincitori. L'IDV, dell'urlante Di Pietro, che pure aveva proposto 3 dei 4 quesiti, a vittoria schiacciante avvenuta, fa un passo indietro come non volesse infierire. O meglio, lasciando ad altri le decisioni da fare. Si scrive altri, ma si legge Lega Nord.

Il fatto che un risultato premiante gli italiani, che attesta cioè la loro volontà di partecipazione (e dunque di libertà, come direbbe Gaber) venga tradotto nella solita melina fra partiti è, per descriverla con un'immagine, come quando il pallone si bucava a metà partita, in una di quelle interminabili sere d'estate che non c'era nessuno.

Come in 54, mi sento più preoccupato di quello che mi stanno rubando oggi (e domani) che di ciò che mi hanno preso ieri. Alla farsa si candidano subito Stracquadanio e Brunetta, facendosi additare come palesemente odiosi, quali peraltro sono (dunque credibilissimi). Ovvero, stante così le cose, sparano ancora un paio di flatulenze, ché ormai il velo del deodorante è cascato: si immolano per redendere credibile il salvatore di professione.

Come i ballottaggi delle amministrative, diventati teatro di uno noioso binomio da stadio destra-sinistra, buono-cattivo, così il referendum: si annulla l'unico risultato vero, cioè la partecipazione del 57% degli italiani al movimento politico, a prescindere dal loro credo, che esprime la sua schiacciante opinione (94-96% dei sì). E' come nel 13esimo capitolo dei Promessi Sposi, quando arriva Ferrer e salva il vicario da una giustizia sommaria di piazza, imbonendo la folla inferocita a cui manca il pane.

Quando le formiche si incazzano e scoprono di essere tante, c'è bisogno di prepare il cambiamento. A tavolino.

giovedì 17 febbraio 2011

God is not great

Qualche anno fa, in una libreria a Dortmund, ho avuto la fortuna di imbattermi in "god is not great" (Christopher Hitchens). Il libro era in Inglese e sebbene l'idea di leggere qualcosa in una lingua diversa dalla mia, con argomentazioni così forbite, mi sembrasse proibitivo, l'argomento era troppo attraente per fare finta di nulla. Sono stato fortunato: pare che l'edizione di Einaudi in Italiano sia pessima.
Il libro è dannatamente godibile ed interessante, e per persone come me- che anelavano ad una voce che argomentasse con coraggio un discorso del genere- è risultato fantastico.
E' scritto con un taglio scientifico, sebbene la suddivisione per argomenti non sia necessariamente rispettata e ci siano diverse contaminazioni. L'analisi è clamorosamente ricca di riferimenti storici, culturali, scientifici (che comunque non sono riportati in nota). Di frequente, l'opinione di Hitchens sconfina nella derisione dei credenti in ogni luogo e tempo.
Alcuni hanno trovato controproducente questo stile, ma è un fatto che Hitchens arrivi alla derisione dopo aver descritto spietatamente gli aspetti paradossali delle religioni (non se ne salva una).
Nel complesso, l'opera descrive come dio sia stato prodotto dall'uomo e non il contrario, come i testi sacri siano sostanzialmente tutti uguali ed incredibilmente limitati al tempo ed al luogo dove sono ambientati, e come la religione appartenga ad un periodo dello sviluppo dell'uomo in cui il buio della ragione ne ha favorito l'attecchimento, ragione per cui portarle avanti adesso risulta grottesco e fuori dal tempo.
In un capitolo, Hitchens si chiede se le religioni aiutino l'uomo a comportarsi meglio. Utilizzando casi personali e storici, conclude che in casi particolari e limitati questo può avvenire, ma che nei grandi massacri e genocidi conosciuti nella storia anche recente, il credo religioso ha sempre avuto un ruolo primario. Tutto il libro, in effetti, è ricco di riferimenti di omicidi di massa, massacri, stupri ed altri tragici avvenimenti perpetrati solo in nome di distinzioni religiose a volte impalpabili. Ad ogni modo, è piuttosto risaputo che lo sterminio nazista di ebrei, gay, zingari, cani sciolti e partigiani ha avuto luogo per ragioni di "razza superiore" e non per motivi religiosi. Se mi è concesso un errata corrige, direi che essere (molto) buoni o (molto) cattivi non ha niente a che vedere con la religione (il che comunque rimarca l'indifferenza della presenza/assenza della religione stessa in riferimento alla domanda iniziale).
Se state sperando nell'estremo oriente, fate a meno, perché un capitolo ne annienta ogni aspetto, ed individui come Madre Teresa di Calcutta, Gandhi o il Dalai Lama non sono risparmiati.

Hitchens, britannico del '49, vivente e lavorante negli USA, in Italia sostanzialmente sconosciuto, è un individuo dalle visioni politicamente trasversali, accusato di essere un egocentrico ubriacone, probabilmente anche opportunista. Per alcuni osservatori, gli ultimi anni hanno portato a scelte politiche di comodo, mentre il suo consumo di alcol sopra la media ha finito per rovinare un riconosciuto grande spirito giornalistico.

Ad ogni modo, è indubbio che frasi forti ed opinioni detestabili, soprattutto riguardo a personaggi mondialmente riconosciuti come "buoni", sono pronunciabili solo da individui dalle caratteristiche di Hitchens. Insieme a Dawkins, Dennett ed Harris, Hitchens forma quel gruppo meglio conosciuto come "I quattro cavalieri dell'anti-apocalisse", che ha addirittura una pagina su facebook, ovvero quattro pensatori che interpretano lo spirito razionalistico dei nostri giorni.
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